L’essere è spirito e come tale deve ritrovarsi.
Pensate a voi stessi come una matriosca, le deliziose bambole colorate della tradizione russa. Per la precisione siete una matriosca fatta di tre bamboline.
La più piccola è lo Spirito, il vostro principio (ananda), quella intermedia è la vostra Anima, mentre quella esterna, tutta colorata e dagli occhioni grandi è il corpo.
Lo yoga è il modo per far fondere le bamboline, è la pratica che porta all’unione con lo spirito e quindi alla realizzazione dell’essere totale, integrale. Dell’Uno.
Non esiste yoga senza questi presupposti (anche se lo yoga è solo una parte di questo lungo viaggio verso la ri-congiunzione con noi stessi).
Come non esiste yoga senza sapere perchè stiamo facendo una posizione. A maggior ragione quelle più comuni. La posizione del guerriero è una di queste (spesso ampiamente abusata, ndr.).
E non è solo una posizione che vi farà bruciare il sedere (e insieme bruceranno anche i grassi). Dietro Virabhadrasana c’è una storia d’amore, di ira, di violenza e di pentimento.
Una storia che arriva da lontano, testimone del fatto che l’India ci ha regalato molto più che una lista – quasi infinita – di asana.
La posizione del guerriero
Di fatto siamo a conoscenza di una vera e propria sequenza del guerriero:
Guerriero 1: il ginocchio anteriore è piegato, la gamba posteriore diritta, le braccia estese in alto: il petto è girato nella stessa direzione del ginocchio piegato;
Guerriero 2: il ginocchio anteriore è piegato, la gamba posteriore diritta, le braccia estese ai lati in linea con le gambe;

Guerriero 3: il corpo è in bilanciamento su una gamba dritta, con il tronco e le braccia che si estendono orizzontalmente in avanti e la gamba sollevata che si estende dritta indietro.
La leggenda del guerriero Virabhadra
Il guerriero Virabhadra fu creato da Shiva, una delle maggiori divinità indù, per vendicare la morte della sua amata moglie, Sati (conosciuta anche come Shakti). Si tratta di una storia mitologica e, come tale, ha subito nel tempo diverse variazioni.
Daksha (figlio di Brahma), il padre di Sati, non approvò mai il matrimonio di Sati con Shiva. Del resto Shiva viene descritto dai testi antichi come un Dio non ortodosso, incline a meditare nei cimiteri piuttosto che impegnarsi nella società. Oltre a ballare e cantare a volontà, si racconta che portasse con sé un teschio (la leggenda vuole che il cranio fosse effettivamente attaccato alla mano a seguito di una maledizione di Brahma dopo che Shiva gli aveva tagliato una delle sue cinque teste). Di conseguenza, Shiva era l’antitesi del re Daksha che prosperava su regole e regolamenti ed era un conservatore della società tradizionale.
Dopo il matrimonio, Sati partì per vivere con Shiva sul Monte Kailash. Infuriato dalla loro unione, il re Daksha decise di organizzare un grande evento conosciuto come Yagna (un sacrificio rituale) a cui invitò tutte le creazioni celesti, divinità e dignitari….. ad eccezione di Shiva e di sua figlia, Sati.
Sati fu molto ferita dal comportamento del padre e decise dunque di andare ugualmente alla festa per affrontarlo.
Daksha, quando vide la figlia, le chiese se avesse finalmente ritrovato la ragione e lasciato quell’«animale selvaggio di un marito», deridendola insieme agli invitati. Sati, rattristata e umiliata, decise quindi di porre fine alla propria vita. Secondo una versione di questa storia Sati si gettò nei fuochi sacrificali del festival, suicidandosi. Secondo un’altra versione, invece, la donna entrò in uno stato meditativo per aumentare il proprio fuoco interiore, tanto che il suo corpo scoppiò in fiamme.
Quando Shiva sentì la notizia della morte della moglie, fu prima devastato, poi infuriato. In una furia, strappò uno dei suoi dreadlocks e lo gettò a terra. Fu creato Virabhadra, che scaturiva dall’energia liberata dal dreadlock lanciato ferocemente. Era un essere enorme e terribile, con mille braccia, tre occhi e una ghirlanda di teschi.
Shiva ordinò a Virabhadra di uccidere tutti gli ospiti della festa sacrificale, compresi gli altri dei. Virabhadra fece questo, e tagliò anche la testa di Daksha. Ma quando Shiva vide le sanguinose conseguenze di questa battaglia, la sua rabbia lo lasciò e provò rimorso. Gli dei uccisi furono miracolosamente guariti e Shiva sostituì la testa di Daksha con una testa di capra. Daksha e gli altri dei onorarono Shiva per questo, chiamandolo «Shankar», il «gentile e benevolo».
Le nostre posizioni del guerriero rappresentano quindi i diversi ‘stadi’ di questa storia e di evoluzione di Virabhadra che altro non è che una manifestazione di Shiva.
Quando Shiva strappò un dreadlock in collera per la morte della moglie, lo gettò a terra con una forza tale che questo si fece strada attraverso la montagna fino a raggiungere il luogo della festa. Mentre emergeva, si trasformò nel guerriero Virabhadra.
Il guerriero 1, quindi, rappresenta Virabhadra mentre emerge dalla terra, con le braccia che si alzano e guardano verso l’alto.
Il guerriero 2 rappresenta Virabhadra mentre taglia la testa di Daksha.
Il guerriero 3 incarna Virabhadra mentre solleva la testa per metterla su un palo (braccia che vanno in avanti).
La storia di Virabhadra può essere vista come una metafora per cercare di superare le nostre debolezze. La crescita della nostra natura di «guerriero spirituale» include lo sviluppo del coraggio, la concentrazione incrollabile e la determinazione ad affrontare i momenti difficili della nostra vita.
Questa leggenda, però, ci insegna molto di più.
Daksha rappresenta l’ego che distrugge l’amore (Sati), inteso come amore per la divinità, l’equilibrio interiore che avremo se fossimo entità assolute. Grazie all’intervento di Shiva, ovvero lo spirito dello yoga, l’ego viene neutralizzato.
Non viene distrutto completamente, però: viene semplicemente rimesso a un livello primordiale e a dominio della mente. Così come era in principio, quando eravamo essere divini e integri.
Siete Uno, Assoluto.
Ricongiungetevi. 🙂
Namastè 🙂
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