Yoga ed estasi spirituale: questione di chimica?

Valentina Ferrero @yogavaly_

E’ questione di chimica. Quante volte l’abbiamo detto, magari riferendoci a qualche situazione di benessere, di piacere o pensando al primo fidanzatino del liceo, quando i nostri ormoni erano ‘a palla’ e le emozioni parevano blocchetti di dinamite a un passo dallo scoppio.
Ormoni, appunto. Il nostro corpo è strapieno di ormoni e non ditelo a me che sono all’ottavo mese di gravidanza: di fatto, concorrono al nostro equilibrio, al nostro funzionamento e ci garantiscono – in linea di massima – la nostra sopravvivenza. Endorfine, serotonina, dopamina… ne avete mai sentito parlare? Io di formule e di chimica non ci ho mai capito granché, ma oggi, sposo sempre di più l’idea che NOI SIAMO quelle formule chimiche e che anche le nostre emozioni (compreso il benessere e il senso dell’equilibrio psico-fisico) lo sono. O, per lo meno, è qualcosa che voglio prendere in considerazione seriamente.
Mi sono imbattuta recentemente in alcuni testi riguardanti lo studio del terzo occhio prima, della ghiandola pineale dopo, della melatonina e della meditazione dopo ancora. Un po’ come una sequenza karmica, uno studio ha portato a quello successivo. A dire il vero tutto è partito da uno studio sui chakra, con la comprensione che il mio sesto chakra – Ajna, anche detto terzo occhio – risultava alquanto bloccato. E’ il chakra dell’intuizione e – coscia di un passato da buona lungimirante – ho deciso di indagare.
Sono arrivata alla ghiandola pineale, una specie di chicco di mais simile a una pigna che abbiamo nel centro del cervello, corrispondente a quello che chiamiamo terzo occhio, per i mistici luogo in cui risiede l’anima. E’ una ghiandola che ci è ancora sconosciuta perlopiù, ma è – tra le altre cose – responsabile dei nostri cicli sonno-veglia e produttrice di una sostanza che potrebbe essere imputata nella meditazione: la melatonina.

Chimica come emozione
Le emozioni sono chimica. Chimica nel senso che sono generate da processi chimici che avvengono nel nostro cervello. Come scrive l’autore Giancarlo Rosati, medico, chirurgo e spiritualista, nel suo libro ‘Melatonina, l’ormone degli dei’, «se sono depresso è perchè nel cervello vengono a mancare determinate sostanze per cause esterne o interne. Se rido è perchè il cervello produce sostanze chimiche che mi mettono allegria. Ogni stato emotivo è dovuto e veicolato nel corpo da specifici neuropeptidi, neurotrasmettitori come le endocrine. Essi sono alla base della costruzione del sistema nervoso centrale e del controllo di moltissime funzioni che riguardano la nostra vita quotidiana, come il dolore (beta endocrine), il piacere, l’apprendimento (encefalite ed endocrine)». Il neurotrasmettitore è una sostanza che, liberata dalle terminazioni nervose, agisce sul sistema nervoso centrale, alterando la capacità elettrica delle cellule cerebrali e modificando l’attività fisiologica di diversi organi. L’amore, per parlare in modo semplice, è una reazione chimica basata sulla dopamina. Perciò quello che dicevamo sul fidanzato del liceo o sul nostro attuale marito, non è così lontano dalla realtà. Se l’amore è il risultato dell’azione di una molecola sul nostro cervello, così, come tutte le nostre emozioni, anche l’estasi mistica che potremo provare durante la meditazione lo è?
Questa è una domanda che è lecito porsi quando cominciamo a vederci come un insieme di molecole che interagiscono attraverso azioni e reazioni chimiche. E soprattutto quando giungiamo alla conclusione che le nostre molecole e i nostri atomi sono gli stessi che vanno a costituire le piante e le pietre e che l’unico elemento che ci distingue dal resto dell’universo, al momento, è la capacità di manifestare la nostra potenzialità. Questa capacità, peraltro, la si deve a una serie di sostanze che il cervello elabora dagli alimenti che introduciamo nel nostro organismo.
Lo stato di benessere generato dalla meditazione o dallo yoga, è – quindi – una questione chimica? La scienza non è ancora riuscita a rispondere del tutto, ma ci sono studi che punterebbero i riflettori sulla ghiandola pineale e sulla melatonina, organo uno e ormone l’altro rimasti nell’ombra per moltissimi anni da parte della scienza e considerati di vitale importanza dai mistici migliaia di anni fa.

La ghiandola pineale e la melatonina
Gli antichi la chiamavano la sede dell’anima poiché sarebbe la porta che conduce il Sè individuale con il Sè divino, la coscienza cosmica. Funziona con la luce del sole, nel senso che la produzione di melatonina è minima durante il giorno, mentre raggiunge i suoi livelli più alti nel cuore della notte, permettendoci un sonno migliore. La costruzione della melatonina, che pare essere così importante nelle fasi meditative, parte da una sostanza che introduciamo col cibo, il triptofano: ancora una volta possiamo comprendere come la connessione con l’ambiente esterno (in questo caso il cibo che l’ambiente ha prodotto naturalmente per la nostra sopravvivenza) è di primaria importanza. Il tutto è legato alla luce del sole tanto che il mistico insisterebbe che la meditazione venga fatta durante i periodi di luna nera poiché la luce inibisce la produzione di melatonina.
Secondo le ricerche la ghiandola pineale produce una sostanza chimica nel cervello che incrementa gli stati psichici paranormali e meditativi. Ronny-Douglas dice: «Le prove neurochimiche e antropologiche suggeriscono che la ghiandola pineale potrebbe produrre un neuro modulatore che incrementa uno stato di coscienza psi-conduttivo». Uno studio condotto dall’università del Massachusetts nel 1995 ha evidenziato livelli di melatonina superiori nelle persone che praticavano una meditazione costante. L’ormone sembrerebbe quindi collegato ad esperienze interiori inconsce e subconsce come quelle che si verificano nei sogni, quando dormiamo.
Il collegamento ci porta quindi a considerare le teorie dei mistici orientali che vedevano nel terzo occhio e nella ghiandola pineale la porta per accedere a una coscienza superiore come una ‘semplice’ reazione chimica. Una reazione chimica che ci porterebbe a comprendere come la realtà che viviamo non sia altro che il risultato di ciò che il nostro cervello elabora sulla base di input esterni e interni – e quindi qualcosa di non vero, in realtà. Nella filosofia yogica si parla di maya, l’illusione: quello che ‘vediamo’ non è altro che la proiezione del nostro cervello, non è reale. Trasceso l’ego, acquisita la coscienza cosmica possiamo vedere il mondo per ciò che è veramente: Unione. Esiste quindi uno stato di coscienza che ci allontana dai nostri sensi e ci conduce a una percezione più reale del mondo che ci circonda?
Rishu Nityabodhananda nel suo libro Ajna Chakra ci parla anche di Brahamamuhurta, l’ora perfetta per la meditazione, compresa tra le 4.00 e le 6.00 mattino, periodo in cui la produzione di melatonina raggiunge i suoi livelli più elevati. Coincidenze?
Qui siamo nel campo delle ipotesi, naturalmente, ma il considerarci come una grande formula chimica, potrebbe portarci alla considerazione che l’illuminazione, l’estasi mistica, quell’essere connesso al cosmo – non solo è possibile per chiunque – ma potrebbe essere davvero ‘qualcosa che è già dentro di noi’ come tutti i mistici, nella storia, ci suggeriscono. E, allora, se è dentro di noi, perchè non nel cervello? Perchè non nella ghiandola pineale? Se le filosofie yogiche ci suggeriscono che tutto ciò che vediamo è maya, illusione, e i neurochimici ci dicono che il mondo che percepiamo è frutto di imput elaborati dal nostro cervello, ne risulta che mistici e scienziati stanno dicendo la stessa cosa: abbiamo una visione distorta della realtà. Può il nostro cervello riportarci quindi a uno stato di coscienza dove ciò che percepiamo è reale? Quello stato di coscienza è l’estasi mistica, la pace generata dallo yoga? Possono la meditazione e il pranayama ‘creare’ questo stato di coscienza?

L’estasi mistica
Tutto questo excursus tra formule chimiche e magiche per dirci che cosa?
L’estasi mistica è un po’ l’Eldorado del ricercatore spirituale, quella commistione col cosmo che assume vari nomi a seconda della religione e del credo: Samadhi per gli Yogi, Nirvana per i Buddisti, Satori nella filosofia Zen. Chi fa yoga, aldilà dell’aspetto puramente fisico, potrebbe andare cercando proprio quell’equilibrio soprannaturale dove tutto è pace e armonia, non ci sono paure, né un senso di divisione tra Me e il Mondo. L’illuminazione è stata descritta in questo modo dai mistici che l’hanno sperimentata prima di noi: come una vera e propria estasi.
Giancarlo Rosati, come molti altri neurosceinziati e fisici, sono concordi nell’ipotizzare che questa estasi sia anche di natura chimica e che le sensazioni provate siano frutto di reazioni chimiche che avvengono nel corpo e – di rimando – producono emozioni e percezioni nella nostra mente.
Vi faccio un esempio. Qualche anno fa ho partecipato a una pratica molto intensa di yoga, culminata con alcune tecniche di respirazione molto potenti, il cui scopo fisico era incamerare più ossigeno nel corpo. Al termine di questa pratica mi sono sentita come levitare, letteralmente. Avevo perso il contatto con il mio corpo fisico e il mio cervello: sentivo a malapena i talloni appoggiati sul tappetino e le nocche della dita. Stavo benissimo.
Ho pensato che fosse un’esperienza di estasi totale dovuta all’effetto che il respiro aveva esercitato sul mio corpo poiché ero riuscita a restare per diversi istanti praticamente senza respirare. Ho sempre pensato che fosse dovuto al maggiore incremento di ossigeno nei miei tessuti, ma ho dovuto in seguito constatare che non si trattava di questo. Leggendo un saggio del fisico Massimiliano Sassoli de Bianchi, ho scoperto in realtà che nel mio corpo si era verificata una vera e propria ipossia. Infatti, già con il respiro naturale il nostro sangue e i nostri organi sono ossigenati in modo pressoché massimale. Questo perché il corretto funzionamento del nostro corpo richiede che il tasso di globuli rossi saturi di ossigeno si situi tra il 95% e il 99%. Ciò che controlla la dinamica respiratoria, al netto dei nostri stati d’ansia, è l’anidride carbonica. Più aumenta l’intensità e la frequenza del respiro, come avviene in alcune tecniche di pranayama, maggiore sarà l’eliminazione di anidride carbonica dal sangue. Cosa accade quando iperventiliamo? Abbiamo appena visto che il livello di CO2 nel sangue si abbassa in modo significativo e che il tasso di ossigenazione, invece, non aumenta in modo significativo. In aggiunta a questo, accade qualcosa di abbastanza sorprendente: l’iperventilazione, anziché produrre una condizione di iperossigenazione cellulare (come erroneamente pensavo anni fa), produce il suo esatto opposto, una condizione di ipossiemia (diminuzione dell’ossigeno disponibile).
Espellere molto CO2 dal sangue produce l’alcalinizzazione di quest’ultimo e una vasocostrizione (la CO2 è una sostanza vascolatrice): si riduce il flusso di sangue ai tessuti, tra cui il tessuto cerebrale, il che spiega in parte la perdita di coscienza che ho avuto nel praticare la respirazione yogica di cui sopra. Ma non è tutto. L’aumento del pH sanguigno inibisce il rilascio di ossigeno da parte dell’emoglobina. Più il sangue è alcalino (come avviene con un’iperventilazione) meno ossigeno viene rilasciato ai tessuti, compreso il cervello e si verifica un generale abbassamento dell’attività cerebrale.
La cosa interessante è che le variazioni chimiche che avvengono nel sangue, producono anche il rilascio di determinati neurotrasmettitori che favoriscono la produzione di particolari mediatori, che a loro volta agiscono a diversi livelli nel cervello, permettendo il rilascio di endorfine, cioè di “oppioidi endogeni” dalle numerose funzioni, come il controllo del dolore, la gestione dello stress, la sponsorizzazione di stati di benessere, di euforia, ecc. Con queste reazioni chimiche si spiegherebbero gli stati di estasi sperimentati dopo le tecniche di pranayama che porterebbero a quella che i mistici chiamano illuminazione, o per lo meno, alla sensazione di benessere che ho provato mente sentivo i miei arti completamente staccati dal mio corpo. La chimica ha agito sul corpo, facendomi perdere temporaneamente il mio stato normale di coscienza. E per normale intendo quello stato abituale in cui mi trovo ogni giorno, che gli stessi mistici, ma anche scienziati definiscono illusione.
Le sostanze chimiche presenti nel nostro corpo e le loro reazioni sono quindi capaci di generare i nostri stati emotivi? Siamo solo una formula fisica o molto di più?
Non sono queste domande alle quali è possibile rispondere in questo momento, ma capire il nostro corpo ci aiuta a capire ciò che proviamo.
Molti dei fenomeni che percepiamo avvengono a cavallo tra il “denso” e il “sottile” e non è sempre facile distinguere quali percezioni provengono da quale piano. Il respiro, tra l’altro, costituisce una delle forme più “sottili” di mobilizzazione energetica che siamo in grado di controllare con il nostro soma. In tal senso, la respirazione fisiologica costituisce una sorta di “ultima frontiera” ancora agevolmente percepibile ed agibile attraverso i nostri sensi ordinari, oltre la quale si aprono le dimensioni di natura extrafisica, dominio di manifestazione dei nostri veicoli coscienziali più “sottili” (para-materiali). Se ad esempio percepiamo un’intensa vibrazione propagarsi su e giù attraverso il corpo, questa potrebbe sì originare da alterazioni del sistema nervoso e/o circolatorio, ma anche trovare la sua causa in variazioni energetiche aventi luogo nel cosiddetto doppio eterico, la matrice di collegamento tra il corpo fisico e il restante della nostra “macchina olosomatica”. In altre parole, le tecniche respiratorie, soprattutto se praticate con piena presenza e consapevolezza, permettono non solo di agire sulla biologia (in particolare sul cervello e sul sistema nervoso), ma altresì all’interfaccia tra il fisico e l’extrafisico, lavorando su quelle energie coscienziali (indicate con il termine prana nello Yoga) che sono alla base della nostra manifestazione. Con questo testo non voglio dire che lo spirito non esiste, ma anzi, che è qualcosa che possiamo effettivamente sperimentare col nostro corpo.
Il divino, in ogni caso, potrebbe trovarsi dentro di noi. E questo è già fantastico.

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