Pigeon Pose, perchè non ci stiamo trasformando in un piccione: la leggenda

In sanscrito, kapota significa «piccione» e asana significa «posa». E fin qui tutto bene, direi. Del resto kapotasana, letteralmente, sarebbe una postura che imita un piccione.

Vi sentirete un piccione – e capirete questa straordinaria similitudine – quando vi sederete con una gamba piegata e l’altra distesa all’indietro. Con le mani sul pavimento per trovare l’equilibrio e il busto eretto: se ci rifletterete con attenzione, vi sentirete un piccione per davvero (o no?)

E’ questo lo scopo della posa yogica? Un viaggio dall’essere umano al diventare un piccione?

Non esattamente! Anche se la gente tende a pensare al kapotasana come una semplice asana a forma di uccello, in realtà prende il nome da un grande maestro, Kapota, le cui realizzazioni yogiche sono documentate in scritture come il Mahabharata e la Kalika Purana.

In potenza, vigore, forza, vitalità e agilità, Kapota non aveva rivali. Quando camminava, sembrava che la sua anima si palesasse diversi metri davanti al suo corpo: si muoveva come se non toccasse il suolo.

Qualcosa di estremamente diverso dal nostro immaginario collettivo, dove il piccione è spesso visto come un animale sporco o portatore di malattie.

Il nome di Kapota, nella mitologia indù, si riferisce a tre diverse figure. Il Mahabharata racconta di un Kapota che era figlio di Garuda, il re delle aquile. Il Kalika Purana ci informa dell’impresa clandestina di un saggio di nome Kapota, al quale torneremo presto.

Kapota, inoltre, appare come uno dei cento nomi del genere Shiva e come uno dei mille nomi del signore Shiva.

Lo Skanda Purana ci informa come il signore Shiva ha ricevuto il nome Kapota, impegnandosi in severi tapas (non sono i tipici piatti spagnoli, ma delle pratiche ascetiche) per vivere solo in sottoforma di aria ed evitare tutte le coppie di opposti. Anche se era il padrone delle otto forme (cinque elementi, luna, sole e Signore), si è ridotto alle dimensioni di un piccione. Da quel momento in poi, era conosciuto dai suoi devoti proprio con il nome di Kapota.

Kapota è anche il nome di un saggio che svolge un ruolo importante in un racconto descritto nella Kalika Purana. Il signore Shiva è ad un certo punto maledetto a generare figli attraverso il rapporto con una donna mortale. Ha, tuttavia, un complicato complotto per poter compiere questa maledizione senza violare i voti che ha fatto a sua moglie Parvati.

Un vecchio re, desideroso di avere un figlio, chiede al signore Shiva il vantaggio della profanità. Shiva concede al re il suo desiderio e si fa nascere come scandaglio del re dandosi il nome Chandrashekara (che significa “colui che porta la luna come corona”, altro nome di Shiva).

Allo stesso tempo, Parvati si incarna come la principessa Taravati. Questa Chandrashekara quando succede a suo padre al trono. Un giorno Taravati fa il bagno in un luogo appartato su un fiume. Si crede ben nascosta, quando in realtà il Kapota la osserva. Kapota, che dovrebbe sedere beatamente e al di là di ogni attaccamento terreno nel samadhi – è un saggio, viene sopraffatto dall’immensa brama di questa donna. Kapota le si avvicina e le dice che è così bella che può essere solo Parvati oppure un dono del cielo. Taravati è in realtà entrambe le cose, ma lei è completamente inconsapevole di questo fatto.

Così dice a Kapota che è la moglie del re Chandrashekara. Kapota le rivela poi quanto la desidera e le promette che genererà due figli forti e sani se cede alle sue avances. Taravati rimprovera il saggio per il suo comportamento illecito, ma Kapota minaccia di maledirla se lei non acconsente.

Taravati riesce a salvarsi mandando la sorella minore Chidrangada, vestita come se stessa, a Kapota. Dopo che il saggio Kapota si diverte, porta Chidrangada, sempre travestita da Taravati, nel suo ashram, dove più tardi vengono portati anche i due figli promessi. Non rendendosi conto che è stato ingannato, Kapota purifica la regina dal peccato di adulterio attraverso il potere delle sue tapas. Dopo alcuni mesi, Taravati (quella vera) commette l’errore di fare di nuovo il bagno nello stesso punto del fiume. Allo stesso tempo, Kapota decide di prendere un po’ d’aria fresca e scende allo stesso posto del fiume. Quando vede la bella Taravati, si rende conto di essere stato ingannato. Nella rabbia la maledice di essere violentata dal signore Shiva sotto forma di una puzzolente e repellente Kapalika (una forma ferocemente ascetica che porta il cranio di Brahma) e di dare alla luce due figli dalla faccia di scimmia.

Per contrastare la maledizione, giura con i voti matrimoniali e i voti del padre (che l’ha generata come manifestazione di Parvati) che non avrà mai rapporti sessuali con nessun altro che con il marito, Chandrashekara (Shiva). Kapota torna a casa e si rifugia nella meditazione. In samadhi vede la vera natura di Taravati e Chandrashekara come Parvati e Shiva, e da allora onora Chidrangada – la sorella di Taravati – come sua moglie.

Il giuramento di Taravati, tuttavia, non è sufficiente a salvarla dalla maledizione. Shiva appare prima insieme alla moglie Parvati e successivamente assume l’aspetto di un’orribile Kapalika e prende Taravati con la forza. Subito dopo questa dà alla luce i due figli a faccia di scimmia.

Shiva e Parvati rivelano poi le loro identità a Taravati. Quando Chandrashekara ritorna, ai due viene offerta un’esperienza mistica, in cui si vedono come Shiva e Shakti (altro nome di Parvati), padre e madre dell’universo.

Questo racconto ha un’implicazione importante. Il signore Shiva non esita a ricevere e compiere una maledizione, anche se potrebbe tranquillamente evitarlo. Perché intraprende questa linea di azione?

Lo fa per raggiungere determinati risultati. Si noti che lo svolgimento della maledizione si traduce nel seguente. Sia il padre di Taravati che il padre di Chandrashekara, precedentemente senza figli, sono in grado di generare figli propiziando Shiva e Paravati, rispettivamente: il saggio Kapota, che si allontana dal suo cammino per violare una donna, impara ad onorare e rispettare ogni donna come la madre cosmica Parvati. Taravati apprende che spostare il suo problema alla sorella non lo risolve; sia Chandrashekara che Taravati imparano che sono rappresentazione della coppia cosmica Shiva e Parvati.

L’ascoltatore del racconto – che siamo noi – capisce che l’incontro di ogni coppia umana non è altro che una manifestazione dell’unione del padre cosmico e della madre, Shiva e Parvati.

La storia di Kapota è talmente importante che ancora oggi si ritiene che viva, visitando una volta all’anno il famoso santuario rupestre di Amarnath in Kashmir. Se praticato correttamente, il kapotasana può portarci allo stesso livello di realizzazione del saggio Kapota.

Quindi non temete, non metterete le ali 🙂

Namasté

2 risposte a “Pigeon Pose, perchè non ci stiamo trasformando in un piccione: la leggenda”

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