«Non è che i problemi non ci siano, è che li vedi in un modo diverso».
Chissà quante volte ti sei sentita dire questa frase. E chissà quante volte avrai pensato, dentro di te, «ma che gran stronzata. Se sto male, sto male. Se sono incazzata con il mio ex tanto da volerlo investire con la macchina, non è che mi passa e quando lo vedo mi vien da regalargli dei fiori».
E come darti torto. In effetti ho avuto brutali istinti omicidi verso il mio ex anche io (in senso figurato, naturalmente, non sia mai). E una volta, mentre ero all’incrocio con la stazione, c’è mancato davvero poco che lo investissi per davvero. E non è che vedere il mondo con occhi diversi mi sia stato particolarmente utile. Per farmela passare ci ho messo un attimo. Insomma, non è che le cose cambiano così, come nei cartoni animati, con colpo di bacchetta magica.
Ho reagito abbastanza titubante anche quando, all’inizio, mi hanno venduto lo yoga come un potente antidoto contro il malessere, istinti omicidi compresi. Del resto, al giorno d’oggi, c’è da stare attenti: tra maghe 4.0, riti e pozioni di dubbia provenienza, la fregatura è dietro l’angolo. Mentre la felicità è diventata un bene di consumo, difficile da raggiungere, ma alquanto quantificabile a livello di denaro. E se ci fai caso, manco così poco. Chi ti promette la felicità si fa pagare profumatamente, indipendentemente dalle ‘pozioni’ che utilizza per cercare di fartela raggiungere.
E, allora, se permetti mi vengono anche un po’ di dubbi sullo yoga. E non è che ci credo così tanto a tutte queste storie sulla felicità e sul sentirsi in pace con il mondo. Mi ricordo, un giorno, ero rimasta imbambolata davanti a un manifesto che pubblicizzava dei corsi di yoga in corso Dante a Torino, vicino all’ufficio dove lavoravo. E mi ricordo che c’ero rimasta un po’ a guardarlo, chiedendomi se mi potevo fidare di quello slogan che a caratteri cubitali affermava che avrei ritrovato la pace.
Eppure.
Alla fine al corso di yoga mi ero iscritta comunque: del resto felicità e speranza vanno di pari passo. E devo ammettere di averlo fatto, inizialmente, per pura curiosità. I colori del cartellone pubblicitario mi ricordavano tanto l’India, Paese che amavo e amo ancora follemente. Forse, inizialmente, devo aver pensato che potesse riportarmi anche un po’ lì, tra i colori e sapori di una terra che mi era rimasta nel cuore.
Da quella lezione di yoga è passato molto tempo ormai. E qualcosa deve essere successo, effettivamente, se lo yoga mi sono messa a insegnarlo. Un giorno ho sperimentato qualcosa che mai avevo sperimentato prima di quel momento. E da lì, la mia strada si è fatta più chiara, i puntini si sono uniti.
Lo yoga risolve i problemi? No, niente affatto.
Non è che i problemi non ci siano e che li vedi in modo diverso (questo concetto è vero, te lo assicuro).
E, credimi, non è che io di problemi non ne abbia, anzi. Come tutti, del resto.
Eppure succede qualcosa, nella mente e nel corpo, tale per cui, il bicchiere diventa sempre mezzo pieno.
Il semplice fatto di essere viva, di sentire come il respiro gonfia e svuota parti del tuo corpo, senza che la mente intervenga, è già di per sé straordinario.
Lo yoga mi ha aiutato a fare pace con il mio corpo, a conoscerlo, a stabilire una profonda connessione con esso. E a comprendere che, veramente, la felicità non risiede mai all’esterno, ma all’interno di me.
«Cerca dentro» mi ripeteva sempre mia zia quando, da piccola, andavo da lei per sfogarmi delle mie frustrazioni (e per mangiare il suo strudel). «Cerca dentro, lì avrai le risposte».
E facendo yoga ho scoperto una cosa straordinaria: l’estasi, la gioia, è tangibile. Si può toccare con mano, assaporare, riconoscere. E, ti dirò di più, facendo yoga scoprirai che la goia, la felicità, è qualcosa che anche il pessimista più temprato può riconoscere quando la vede. E la sente.
Oggi mi è successa una cosa straordinaria. Una signora che viene a yoga da me mi ha detto: «Sento il mio corpo, lo sento che vive, che respira, mi sento felice. Non mi era mai successo. Anche se ho 70 anni sento che posso farcela».
Sono contenta per questo, perchè significa che lo yoga funziona davvero. E che non ci sono età per praticarlo e questo è straordinario. E, mi sento di dire, sufficiente. Perchè ti aiuta a cambiare la percezione del mondo. E sì, a essere felice. Questa signora non si metterà mai a testa in giù, non farà mai Bakasana con un braccio solo, ma si sente viva. E, Dio mio, questo è già straordinario. Lei è già yoga, senza bisogno di fare super pose. E questo è sufficiente.
Ci sono alcuni insegnamenti fondamentali che possono cambiare per sempre il modo in cui vedi il mondo. La «la gioia è dentro di te» è uno di questi. Anche se lo senti in termini puramente psicofisici, se lo senti veramente, ti aiuterà a riconoscere una delle verità più potenti che ci sia: è in realtà possibile sentirsi felici indipendentemente da come il mondo ti tratta, o come orribile sia stata la tua infanzia, o il fatto che tutti i tuoi amici hanno più successo di te. Si può essere felici quando si sta fallendo in qualcosa.
La gioia è una grande verità. Ma come tutte le grandi verità, la tua comprensione di cosa significa «la gioia è dentro di te» è di cruciale importanza. E fa la differenza. E spesso è facile scambiare il buon umore per goia. Potresti anche associare la tua goia alle circostanze che l’hanno scatenata, tipo al primo appuntamento con il tuo ex (sempre per restare in tema), al tempo trascorso a fare jogging al parco, o alla prima volta in cui hai mangiato sushi e hai scoperto che il pesce crudo non è poi così male.
Allora, di cosa stiamo veramente parlando quando parliamo di gioia interiore, e come dovremmo avvicinarci ad essa? In sanscrito, ci sono fondamentalmente quattro parole per la felicità -sukha, santosha, mudita e ananda – ognuna delle quali indica un diverso livello di felicità. Insieme, costituiscono un percorso che ci conduce a una felicità che non può essere scossa.
Sukha (piacere)
La parola per felicità ordinaria – il tipo di felicità che deriva da esperienze piacevoli – è sukha. Significa “facilità”, “piacere” o “comfort” ed è spesso tradotto semplicemente come “piacere”. Sukha è la felicità che sentiamo quando siamo saldamente all’interno della nostra zona di benessere. Mio marito è siciliano e quando andiamo dai suoceri, a Milazzo, e mi sveglio la mattina guardando il mare fuori dalla finestra, mi sento… beh… spontaneamente felice. Questa particolare forma di felicità è meno probabile che sia presente quando, ad esempio, giro al Quadrilatero, a Torino, alla funesta ricerca di un parcheggio per la mia auto. Il punto, come ogni tradizione interiore ti dirà, è che sukha, la gioia vissuta come piacere, è fondamentalmente inaffidabile. Perchè dipende da qualcosa.
Santosha (soddisfazione)
Il semplice antidoto yogico al piacere fugace è passare al livello successivo e cominciare a coltivare il santosha, che i testi yogici traducono come “contentezza”. Lo Yoga Sutra considera la pratica del santosha essenziale, perché è il modo più veloce per fermare l’agitazione che deriva dalla frustrazione, dal disagio e dal desiderio insoddisfatto.
Implicita in santosha è l’idea di essere OK con quello che hai, accettando quello che sei, senza sentire che hai bisogno di qualcosa in più per renderti felice. Testi yoga fondamentali come il commento di Vyasa sullo Yoga Sutra associano Santosha con lo spirito di rinuncia: l’assenza di desiderio per qualcosa di diverso da quello di cui abbiamo bisogno. In questo punto di vista, possiamo raggiungere la vera soddisfazione solo quando siamo disposti a rinunciare a lottare per ciò che è fuori portata, a smettere di aspettarci più di ciò che la vita ci può dare, e a lasciare andare i modelli mentali che distruggono la nostra soddisfazione, paragonando le nostre capacità, il nostro carattere, i nostri possedimenti e le conquiste interiori con quelle delle persone intorno a noi.
Mudita (felicità spirituale)
Praticare santosha calma la mente, e quando calmiamo la mente, c’è una buona probabilità che il prossimo livello di felicità – mudita – inizierà a farsi strada di nascosto. In italiano, la traduzione più vicina a mudita è “felicità spirituale”. Mudita nella sua forma più pura è la gioia che sperimenti per caso, che viene dal nulla, come un messaggio dal nostro sé più profondo, e che in realtà ha il potere di cambiare il nostro stato in un istante. Dà origine a tutta una serie di sentimenti, come la gratitudine, l’esaltazione, l’equanimità e la capacità di vedere la bellezza anche in cose che normalmente non troviamo belle, come la lettiera del gatto o gli hamburger del fast-food (devo ammettere di averla provata, sì, è possibile vedere bellezza nell’hamburger del Mc Donald).
Ananda (la beatitudine che passa la comprensione)
Quando mudita si approfondisce fino a diventare il nostro intero campo di esperienza, ci troviamo in contatto con il livello più profondo di gioia: l’ananda. Ananda è di solito tradotto come “beatitudine”, ma a mio parere, la parola ‘beatitudinne’ è troppo leggera per trasmettere ciò che l’ananda è veramente. Ananda è estasi, rapimento, una gioia che risplende da sola dalle profondità dell’universo e ci collega istantaneamente alla vastità dell’essere puro. Ananda, in altre parole, è il potere divino sotto forma di felicità. Quando lo tocchi, lo sai – e sai anche di aver toccato il livello più profondo della realtà. Secondo i grandi filosofi nondualisti delle Upanishad e dei Tantra Shaiva e Shakta, l’ananda è in realtà Dio. Il mio insegnante diceva che quando senti l’estasi che sale nelle tue vene, stai sperimentando Dio. O qualsiasi sia il nome che hai deciso di dare all’energia primordiale.
Pensa te cosa può fare lo yoga. L’avresti mai detto? E, sì, lo so. Là fuori è pieno di streghe e stregoni 4.0 che cercano di venderti la felicità a tutti i costi.
Diffida delle imitazioni, però. Lo yoga esiste da migliaia di anni. E ci sarà pure un perchè.
Namaste 🙂
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